fuori, il semaforo
Il sapore di caffè satura il gusto. Rimane un amaro temperato, un preannuncio di dolce.
Le parole sono saltellate da una bocca all’altra, hanno screziato di lampi divertiti gli occhi, prima disteso e poi tirato il viso, e i sorrisi non sono mancati.
Le mani hanno manipolato l’aria, fornendole contenuti e forse lei s’è stupita di ciò. Un tono di voce ha fatto girare una testa, l’altra già guardava, e per un attimo, sono stati stupiti e curiosi, gli sguardi, poi sono tornati estranei, distratti da uno scroscio improvviso di tazze.
Un guaio? Forse no. Ma tutti, per un attimo, siamo diventati un po’ vergognosi d’innocenze immeritate, prima di tornare a guardare gli occhi e le mani.
E le parole e i silenzi sono ripresi, gli argomenti rimessi in moto, come le auto ferme al semaforo, oltre la vetrina schermata agli sguardi.
Il rosso, il verde, il giallo, si vedono. Basta alzare gli occhi verso il cielo e sono li che schermano le stelle e contengono, in quello scorrere di piccoli minuti, pensieri che portano a luoghi, idee, obbiettivi.
C’è un senso di ripetitività nell’aria, che mescola, con la luce, i gas di scarico. Radicali d’azoto e carbonio, liberi di fluttuare verso abitacoli e ciclisti.
Cambiamo discorso? Ma no, mi piace parlare, non ti accorgi che…non c’è noia, c’è solo il tempo che scorre troppo in fretta e s’illumina di verde, di rosso, di giallo, nella sera che viene.